Ogni processo di privatizzazione è in modo sistematico un mero esercizio di privazione ai danni della collettività.
Cioè una sottrazione indebita di tutti quei beni e servizi a incontestabile beneficio della popolazione tutta.
A partire dal ’92 nella fase deflagrante del neoliberismo, quale dichiarata egemonia del modello economico occidentale, i beni comuni sono stati tramutati in oggetto del contendere poiché collocati prepotentemente sul quel libero mercato tanto caro ad una caterva di pescecani pronti a tuffarsi, con bramosa impazienza, nel mare degli affari per il raggiungimento del massimo profitto.
Tutto questo prima alle nostre e poi sulle nostre spalle: utenti e lavoratori. Ciò che i popoli europei hanno conosciuto per decenni, e dato per scontato, in pochissimi anni è stato quasi interamente depredato per gli interessi dei pochissimi a scapito di tutti gli altri.
In tale contesto l’Italia è stato il paese maggiormente sacrificato al nuovo modello economico avendo vissuto una delle più grandi ondate di privatizzazioni al mondo. Infatti, aziende cruciali come Enel, Eni, Telecom, Autostrade, Alitalia, Ferrovie e Poste sono passate da enti pubblici a società per azioni quotate in borsa. L’obiettivo dichiarato era renderle più efficienti, ma i risultati, che hanno tenuto fede ai reali obiettivi, sono stati ben diversi.
Analoghi processi predatori sono stati, al pari, attraversati da altri comparti fondamentali per una esistenza dignitosa di tutti noi: la sanità, il trasporto pubblico, l’istruzione, la previdenza, l’acqua che ha cessato d’essere un bene comune (nonostante un referendum favorevole), aeroporti nazionali.
La narrazione dominante utilizzata per giustificare tali processi è sempre stata quella dell’abbattimento del debito pubblico che invece è aumentato a dismisura quasi quadruplicando i valori dell’inizio del 1991. In aggiunta a tutto questo anche il dare ad intendere totalmente ipocrita di non considerare che la vendita di settori produttivi avrebbe comportato la rinuncia a cospicui incassi generati in modo sistematico per lo sviluppo necessario in termini di pubblica utilità e che comunque per molti settori indispensabili, utili ed essenziali per l’esistenza di ognuno di noi, non possono essere contemplati bilanci economici.
Tuttavia, oltre a sgonfiare le casse dello stato nel giro di pochi anni, siamo passati dall’avere le bollette più basse d’Europa, come nel caso dell’energia, a essere nella top 5 di quelle più care. Per le autostrade ci sono stati scarsi investimenti e tariffe alle stelle. I trasporti garantiscono efficienza e alti costi per le tratte maggiormente frequentate e una inefficienza drammatica per i pendolari. La sanità pubblica viene demolita per favorire i privati anche attraverso la destinazione di fondi statali. L’istruzione privata riceve ingenti quantità di danaro pubblico, per far concorrenza alla scuola di tutti, pur chiedendo rette eccessive e livelli di istruzione finalizzate al conseguimento di titoli. In generale, la qualità dei servizi è peggiorata mentre i costi per noi cittadini sono aumentati.
Le aziende privatizzate hanno smesso di perseguire l’interesse pubblico per concentrarsi solo sul profitto. Hanno tagliato posti di lavoro, venduto rami d’azienda, ridotto gli investimenti a lungo termine, tagliato i costi della sicurezza, aumentato il precariato, ridotto l’accesso ai servizi, ridotto la qualità di questi. I manager e gli azionisti guadagnano milioni mentre i lavoratori vengono spremuti e gli utenti pagano sempre di più.
Non lasciamoci ingannare: le privatizzazioni non sono inevitabili né portano benefici alla collettività. Sono scelte politiche che vanno nella direzione opposta a quella della giustizia sociale nonché dei diritti umani sul modo di vivere libero e dignitoso quale condizione fondamentale di ogni singolo individuo in relazione al contesto generale dell’intera società.
Difendere i beni pubblici significa difendere i nostri diritti, il nostro benessere, il nostro futuro. Significa preservare servizi essenziali accessibili a tutti, non solo a chi può permetterseli.
Informiamoci, discutiamo, organizziamoci.
Che le aziende pubbliche tornino a servire davvero l’interesse collettivo. Fuori il patrimonio comune dalla logica del mercato e dall’inesorabile sciacallaggio ad essa collegato. Basta con gli avvoltoi del profitto su tutto ciò che rappresenta un nostro inviolabile diritto.
Il futuro dei nostri beni comuni è nelle nostre mani. Insieme possiamo fermare lo smantellamento di ciò che ci appartiene e costruire un’economia più giusta e sostenibile per tutti.
È su queste basi che chiamiamo i lavoratori, i cittadini, la società civile ad unirsi per riaffermare il diritto di ognuno di noi ad avere assicurati i servizi sociali essenziali che sono un patrimonio indispensabile per un modello di società che possa davvero essere denominato civile.