Con il governo Draghi si segna un cambio di passo molto forte nella gestione della crisi, in questo modo direttamente nelle mani del potere economico targato UE e dove l’unico spazio politico sembra essere quello del partito del pil i cui rappresentanti, del nord del paese, occupano gli scranni ministeriali più importanti.
Non sappiamo dettagliatamente quali saranno le misure che Draghi adotterà nei prossimi mesi ma conosciamo bene il suo operato di questi decenni. Sappiamo che è il personaggio italiano che più di tutti ha rappresentato l’ideologia liberista su cui è nata l’Unione Europea, per la quale mercato e finanza sono il tutto ed hanno addirittura valenza salvifica, sappiamo che ha voluto e gestito in prima persona l’imposizione da parte della UE e della BCE, delle politiche di austerity e di bilancio annunciate nel 2011 al nostro paese e che è stato altrettanto protagonista, in negativo, delle devastanti misure economiche imposte insieme al FMI al popolo greco.
Sappiamo che è l’uomo del “Whatever it takes”: “ la Bce preserverà l’euro, costi quel che costi”
Ora conosciamo la squadra di governo ed anche il discorso, di segno strategico, con il quale si è presentato in parlamento per la sua investitura e nel quale ha sottolineato il ruolo unico nella gestione della crisi, delle politiche UE e BCE, dell’irreversibilità dell’euro e della fede atlantista.
Una collocazione quindi indiscutibile, costi quel che costi e che all’interno del paese va sostenuta poggiandosi sugli interessi unici del sistema economico del nord dove è bene ricordare la confindustria e la classe dirigente locale si si sono resi responsabili di migliaia di morti per tenere aperti i siti produttivi a tutti i costi.
Ovviamente l’orrizzonte non comprende la parte del paese “non produttiva” e del sud non si trova quindi traccia nei discorsi programmatici dei notabili del partito del pil.
E’ bene sottolineare che, a differenza di quanto propagandato dalla stragrande maggioranza dei meedia, con l’annunciato programma di governo non siamo di fronte a politiche espansive ma bensì a politiche di bilancio, enunciate chiaramente all’atto dell’investimento parlamentare e sostenute con la nomina dei ministri economici cosiddetti tecnocrati.
Senza il finanziamento illimitato del debito primario da parte della BCE e/o del taglio del debito pubblico, respinto nei giorni scorsi dalla Lagarde (BCE), non sarà possibile varare politiche espansive ne tantomeno questo governo, marcatamente classista, intende fare politiche seriamente redistributive in un contesto nel quale sono aumentate le disuguaglianze sociali, la ricchezza si è ulteriormente polarizzata e l’area della povertà si allarga sempre più velocemente.
Tutto questo basterebbe per comprendere bene la natura della partita che si sta giocando e quale parte del campo occupare fin da ora e senza titubanze.
E se tutto ciò non fosse ancora sufficiente allora basterebbe rivolgere lo sguardo verso la voglia spasmodica di cgil, cisl, uil, di un nuovo patto sociale con Draghi il cui discorso di investitura è stato definto da Landini “di alto profilo e condivisibile” e a cui anche confindustria è orientata.
Un nuovo patto sociale che al pari di quello del 1993 con il governo Ciampi e che ha dato il via al trentennio della concertazione con i risultati che ben conosciamo, deve avere come base la revisione formale della funzione del sindacato, assegnando la titolarità esclusiva della rappresentanza alle loro stesse organizzazioni e l’ eliminazione sempre per via formale, del conflitto sociale.
Non è casuale infatti che sia intorno alla condivisione di una pessima Legge sulla rappresentanza che stiano costruendo questa unità di intenti, anche coloro come cisl e confindustria che nsono state nel passato contrarie.
In questo contesto è sicuramente importante lottare affinché i miliardi del Recovery found siano spesi x aumentare l’occupazione stabile, invertire i processi di privatizzazione e di tagli dei servizi pubblici a partire da sanità, trasporti e scuola così come è indispensabile un sistema di reddito garantito a tutti ma bisogna essere consapevoli che questi fondi in gran parte debitori, non sono né sufficienti né finalizzati dai regolamenti europei a tali obbiettivi.
Dei 209 miliardi di euro del recovery plane, che riguardano complessivamente i prossimi sei anni, la maggioranza (127) sono prestiti che creano solo risparmio sul differenziale tra tassi di interesse nazionali ed europei.
Per quanto riguarda i restanti miliardi di euro, l’importo netto dipenderà dai contributi dell’Italia al bilancio dell’UE.
Complessivamente stiamo quindi parlando indicativamente di una cinquantina di miliardi da destinare in politiche definite di fatto direttamente dalla U.E., spalmati su sei anni.
È indispensabile quindi mettere al centro dei nostri ragionamenti e della relazione con i lavoratori, la necessità di un vasto conflitto sociale e cominciare ad arare i campi fin da ora.
Non ci possiamo nascondere che la strada sia in salita ma dobbiamo lavorare fin da ora affiancando alle rivendicazioni sulla sicurezza sanitaria, parole d’ordine ed obbiettivi di carattere redistributivo, di maggiore equità sociale, di garanzia di una vita dignitosa per tutti : la patrimoniale e la tassazione del profitto, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, il salario minimo per legge, forti aumenti contrattuali, il no alle privatizzazioni e il rafforzamento del welfare state.
A tutto questo va aggiunto prioritariamente la cancellazione dei decreti sicurezza che vietano il conflitto sindacale e sui quali è stata fatta calare una cappa di piombo.
Per questo è ancora più necessario perseguire i tentativi di unità d’azione con tutte le organizzazioni e le soggettività che si muovono sul terreno del conflitto, pur partendo da sensibilità ed obbiettivi differenti.
Siamo convinti che la situazione, più che le differenti volontà delle singole organizzazioni , spinga verso una unità d’azione che vogliamo cercare di perseguire partecipando ai vari confronti ed iniziative che abbiano il carattere dell’unità e mettendo in cantiere incontri con tutti coloro che ne avranno la disponibilità.
Un lavoro questo che dobbiamo portare avanti anche perseguendo l’obbiettivo di un percorso che porti ad uno sciopero generale intercategoriale i cui tempi politici reputiamo siano maturi a differenza di quelli di realizzazione per i quali bisogna lavorare con impegno.
Il Direttivo Nazionale SGB – 20/02/2021