Andiamo ad affrontare le ultime scelte, le più gravi per i lavoratori, che ha preso o sta per prendere il governo dell’ineffabile Draghi, non onorevole per difetto di titolo, demiurgo per sua profonda aspirazione.
Vogliamo intendere le scelte che riguardano le misure di uscita dal blocco emergenziale dei licenziamenti e degli sfratti, ma anche delle completa deregolamentazione del regime degli appalti, tutte scelte che intanto ci segnalano come sia connaturato nello sviluppo delle società capitalistiche, anche tardo-capitalistiche, la pratica ordinaria del licenziamento, dello sfratto, del liberare il padrone, ogni padrone, da ogni regola, da ogni misura di ordine morale, di aderenza ai principi costituzionali, di contrasto alle mafie.
Partiamo da quest’ultima libertà, decantata e rivendicata dagli strilloni di Confindustria, dalla Unione Europea, dai partiti di destra, dalle tecnocrazie ed accademie del “sistema”, quel sistema che pure ama definirsi legale. Si tratta del terreno più viscido scelto dal padronato, perché sembra evocare una libertà per tutti, più radicale perché astratta in apparenza, cinica e bara nella realtà concreta, un terreno cui neppure si sottrae una sedicente sinistra politica, che infatti non la contraddice, non la contrasta, anzi balbetta citandola, volendo dimostrare in tutti i modi di non volerla tradire.
Abbiamo la tragica occasione di poter citare il caso dei 14 morti per la caduta della funivia: ecco cosa significa, appunto in concreto, meno controlli, meno permessi, meno verifiche. Il tutto sarà sempre più affidato, a babbo morto, ad una magistratura cui intanto si spinge per metterle il bavaglio.
Descriviamo, quindi, questa decantata libertà d’impresa: si tratta di poter intanto dare l’assalto ad ogni risorsa pubblica, con i meccanismi classici dell’appalto pubblico, di erogazione di servizi o di produzione di beni, ma meccanismi che il padronato vuole sempre più leggeri, sempre più finti, a partire dal loro svuotamento formale che consiste dalla pratica del subappalto. Il subappalto è il grimaldello tramite il quale si scardina quel poco di garanzie che i poteri pubblici dovrebbero imporre al privato, il privato bello per definizione, che tramite questa opzione può infischiarsene delle regole che riguardino la sicurezza e la salute per i lavoratori e per i cittadini (oggi definiti “utenti”), la sostenibilità ambientale, ogni vincolo paesaggistico o artistico.
Altro che qualità dello sviluppo, altro che primato della ricerca e della cultura, la libertà d’impresa vuole slegare il profitto da ogni laccio o lacciuolo (così definiscono i padroni gli elementi di garanzia dell’interesse pubblico), vuole affrancarsi da ogni forma di controllo o verifica, anche solo formale, vuole imporre la formula del “sempre meno Stato, sempre più mercato” in nome del primato della ripresa economica, della risalita del PIL (prodotto interno lordo), l’indicatore di ogni perversione realizzata in nome della produttività. Per i lavoratori e per i loro sindacati conflittuali ciò significherà meno margini vertenziali, meno possibilità di avere sponde legali per quelle grandi lotte che, partite dal ’69, hanno segnato lo sviluppo della coscienza operaia: oltre al salario, orario ed orari, sicurezza, salute.
Si parla, ma solo nei casi eclatanti o forse più pittoreschi, degli incidenti mortali sul lavoro, che noi definiamo comunque come omicidi del padronato, ma il loro costante aumento sarebbe ancora di più incrementato dall’allentamento delle regole, dei sistemi di controllo che pure esisterebbero sulla carta, che pure abbiamo conquistato con le grandi lotte che abbiamo qui ricordato.
Invece di regole più stringenti, di più ispettori, di più controlli, di sanzioni più severe, si vuole l’esatto opposto, proprio come per quella maledetta cabina della funivia. Blocchiamo ogni freno, ogni inciampo sulla via della produttività e profitto, quindi più PIL e più morti, senza ritegno.
Questa realtà, che si vuole ancora più aggressiva, la conoscono bene ad esempio i lavoratori della sanità, quella privata, ma anche quella pubblica, in cui imperversano gli appalti dei servizi di base, a partire da quelli delle pulizie e sanificazioni, ma anche dei servizi tecnologici (manutenzioni, aggiornamenti hardware e software, gestioni dei dati, ecc.). La conoscono bene i lavoratori dell’edilizia, costretti a lavorare in condizioni di sostanziale schiavitù, con i DPI (dispositivi di protezione individuale) ridotti al minimo, talvolta fuori norma, se non assenti, venduti dall’appaltatore dell’opera (pubblica o privata poco importa) alla piccola azienda “familiare”, per la quale l’aggettivazione non allude solo, spesso, ai rapporti parentali.
Vi sono intellettuali, seppur generosi, che segnalano il pericolo vero dell’espansione dei poteri criminali, come effetto delle invocate ulteriori liberalizzazioni, che avranno ancor più mano libera nell’assalto alle città, ai territori, ai cicli delle acque, dei rifiuti, delle forme energetiche. Essi, però, si fermano all’epifenomeno, come se le mafie non fossero elemento fondamentale, strutturale del capitalismo avanzato, si muovono come “mammolette” al cospetto delle forze del male, non volendo additare nel liberismo stesso il padre di ogni male.
Del resto sono sempre le mafie, tutte le mafie, ad avvantaggiarsi per prime dalle due altre libertà invocate dai padroni e dal loro governo: la libertà di licenziare, la libertà di sfrattare.
Già si muovono come avvoltoi sui lavoratori e sui disoccupati, privati di due diritti fondamentali: il diritto al lavoro ed il diritto alla casa. Già offrono i loro servigi, le loro occasioni di lavoro, i loro tuguri offerti a metà di un salario medio (reale). Ma i nostri volenterosi intellettuali fingono di non sapere che vi sono interi mega-quartieri delle grandi magalopoli moderne, a partire da New York, in cui vivono milioni di proletari senza lavoro e senza casa, ridotti all’accattonaggio e a vivere per strada con un indirizzo assegnato al loro carrello delle masserizie.
I padroni moderni ed affascinanti hanno dunque concesso di sospendere temporaneamente, solo eccezionalmente (c’è voluta una pandemia) la loro libertà di poter licenziare e di poter sfrattare. Ora, però, alzano la voce, teorizzano che senza licenziamenti e senza sfratti l’economia non riparte, non può riprendere il meccanismo virtuoso dell’accumulazione e reinvestimento dei capitali.
La verità vera è che a non riprendere la loro corsa mostruosa sarebbero i loro utili e le loro rendite, negli ultimi decenni sempre più concentrati e sempre meno attenuati dalle leve fiscali del liberalismo classico. Dà scandalo finanche una timida misura di equità generazionale, diffusa in tutti i paesi europei, una tassa di successione sui grandissimi capitali da adottare in una quantità addirittura ridicola.
Per la rinnovata e potenziata libertà di licenziamento, si tratterà dunque di poter ricorrere a piene mani ai licenziamenti collettivi e, a partire dal depotenziamento dell’art. 18, all’estensione del Jobs act a tutti i contratti con effetti individuali, restringendo il concetto di giusta causa a giusta causa per il padrone. Non si tratterà, quindi, di un semplice ritorno al giorno prima della pandemia dichiarata, si tratterà di una nuova fase di licenziamenti indiscriminati e di massa.
Pure per gli sfratti, essendo lo sfratto lo strumento principe per difendere la rendita parassitaria del padrone di casa, vale lo stesso discorso. Centinaia di migliaia di lavoratori, con le loro famiglie saranno sbattuti sulla strada in nome della decantata esigenza che l’economia si debba muovere, che il denaro (specie quello non tracciabile, come quello dei fitti parzialmente al nero) debba circolare, che il mercato immobiliare debba ripartire, anche qui senza tante regole e, soprattutto, sempre più velocemente.
Ecco, dunque, sinteticamente esposte le ragioni della necessità storica, oggi più che mai, di una lotta in campo aperto contro i licenziamenti e contro gli sfratti, non circoscritta ai soggetti sociali localmente aggrediti, ma estesa e pervasiva di tutta la classe lavoratrice, che rompa con le complicità dei sindacati collaborazionisti, sempre più disprezzati, realizzando un terreno di conflitto realmente unificante.
Per questo ci auguriamo che le forze sindacali conflittuali, presenti oggi nel paese, possano definire una risposta di lotta unitaria contro la macelleria sociale a cui si appresta il Governo Draghi sotto dettatura della Unione Europea!